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giovedì 10 aprile 2014

Essere madri in azienda


Ultimamente ho letto due bei post su due blog che seguo, che si riallacciano a quello che avevo scritto qualche settimana fa. Mi ha colpito soprattutto il primo, che parla della condizione delle madri in azienda, con poche righe che raccontano casi concreti.
Ovviamente questa condizione, come purtroppo ben sappiamo, è difficile in ogni contesto lavorativo, soprattutto quelli caratterizzati dal precariato dilagante, ma ciò che è ancora più grave è che in azienda, anche per posizioni di livello medio e a tempo indeterminato, le madri vengono pesantemente discriminate e a volte anche sottoposte a forme di mobbing, come è descritto bene nel post.

"Di è un poco più grande di me, i suoi figli sono cresciuti in fretta e ormai sono più alti di lei. Quando erano piccoli ha barattato per sempre ferie, aumenti e dignità per un’ora di lavoro in meno ogni giorno, un’ora in più da passare con i suoi bambini. È circondata da maschi che aspettano da quasi quindici anni che lei si scusi per le sue gravidanze. Gli stessi che, al rientro dalla seconda maternità, le fecero sparire la sedia e la scrivania dietro la quale lavorava. Giusto per essere chiari. Per essere sicuri che non osasse riprovarci una terza volta.
C’è Gi, che lavora per una grande azienda. Ha una pausa pranzo interminabile e una figlia piccola che resta al nido fino a tardi. La flessibilità non esiste, quando servirebbe per rientrare a casa prima del calar del sole e correre al parco con la tua bambina per mano. Gi esce di casa molto presto al mattino e rientra quando ormai è buio. Prendere o lasciare, un’altra strada non c’è."

E io posso aggiungere la storia di A. che era una dipendente di livello direttivo in una grande azienda in cui ho lavorato e che viaggiava molto per lavoro all'estero. Quando ha avuto la seconda figlia e ha chiesto di avere un ruolo che le consentisse di stare di più in sede le è stato proposto in cambio di dimettersi e essere riassunta con un livello più basso ed è stata per molti anni emarginata con ruoli molto più bassi di quello che aveva: tutto perchè si era permessa di avere due bambine a distanza ravvicinata.

Purtroppo questa è una semplice conseguenza della mentalità che impera in azienda e di cui parlo in questo blog: nelle aziende, specialmente in Italia, si viene misurati sulla base della disponibilità, della presenza fisica, del numero di ore dedicate al lavoro e sulla completa separazione fra vita lavorativa e tutti gli altri ambiti della vita (affetti, relazioni, compiti sociali, passioni….): non viene concepito che questi ambiti si possano mischiare o che si possa lavorare efficacemente in molti ruoli e in molte occasioni anche senza essere presenti fisicamente in un certo luogo in certi orari.
Ovviamente aderire a questa mentalità vuol dire mettere tutto in subordine alla vita lavorativa che peraltro più si sale nella carriera e più diventa ingombrante. In una simile situazione, in azienda, quelli che fanno carriera devono rinunciare spesso alla vita famigliare o a quella di relazione o almeno devono essere disposti a penalizzarla fortemente: di solito gli uomini sono più propensi a fare questo, anche perchè forse un uomo può adempiere al proprio ruolo sociale, per tradizione o per vocazione non so, anche mettendo al primo posto il lavoro. Io credo invece che sarebbe ora di cambiare questa mentalità e poter mischiare i vari ambiti senza penalizzarli, anche perchè oggi ce ne sarebbero i mezzi: se le cose però rimangono come sono, penso che sia meglio che una donna rinunci a fare carriera in azienda, piuttosto che snaturarsi ancora di più di come fa un uomo.
Credo che sia un prezzo troppo alto e io stesso non ho mai accettato di pagarlo.

Quanto è lontana la mentalità di un'azienda "diversa" di cui avevo parlato in uno dei primi post, e che al contrario facilita e incoraggia la vita relazionale dei propri dipendenti e soprattutto dei genitori!

“Una cosa assolutamente non volevo che cambiasse, anche se eravamo costretti a fare le cose seriamente: il lavoro doveva essere un divertimento per tutti, tutti i giorni.
Tutti dovevano venire al lavoro a piedi e fare le scale due alla volta, avevamo bisogno di essere circondati da amici e tutti dovevamo poter indossare quello che li pareva e anche stare scalzi; tutti avevano bisogno di orari flessibili per poter andare a fare surf quando c’erano le onde giuste o a sciare quando c’era la neve, o poter stare a casa ad accudire un bambino con l’influenza.
Dovevamo rendere meno netta la divisione tra lavoro, divertimento e famiglia.
Su insistenza di Malinda istituimmo anche un asilo nido in sede: la vicinanza dei bambini che giocavano in cortile e pranzavano coi genitori aiutava a mantenere l’atmosfera generale molto più familiare che corporativa e inoltre sappiamo che i genitori sono più produttivi se non sono preoccupati per i loro figli: pensiamo che le scelte che molte persone che lavorano fanno e che contrappongono la carriera alla famiglia, di fatto non dovrebbero esistere.”

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