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lunedì 31 marzo 2014

Donne con le gonne: non in azienda!





In tanti anni di vita in azienda ho capito che una delle cose che io ho sempre cercato e che non sono mai riuscito a trovare è il poter far convivere esperienze e attività diverse, organizzandomi per poterlo fare. In tutti i campi della mia vita questa è sempre stata la mia filosofia e credo di essere sempre riuscito a portare avanti tante iniziative giocando sui tempi e sulle priorità da stabilire di volta in volta. Questo però nelle aziende in cui ho lavorato non sono mai riuscito a trovarlo e di fatto ho sempre dovuto fare salti mortali, e spesso fingere, per continuare con questa mentalità: lavorare, ma anche essere presente in famiglia, studiare, fare sport, avere momenti di relax e bilanciare il lavoro in sede con quello all'esterno e magari in realtà differenti.
In azienda, come si capisce bene quì, questo modo di fare non piace e chi lo attua viene considerato un elemento strano e di disturbo, senza neanche analizzare se questo porta benefici all'azienda stessa. L'azienda è esclusiva e vuole esclusività, e anche se potrebbe avere vantaggi da una contaminazione non riesce a comprenderli.

Vuole che i suoi dipendenti siano sempre presenti, sempre disponibili a chiamata, ama poterli controllare e questo anche nell'era digitale in cui si può essere ovunque e interagire lo stesso nella stragrande maggioranza delle attività.
Questo è il motivo principale per cui nessuna donna che non si snaturi potrà mai fare carriera in azienda: perchè la donna per necessità deve seguire tante attività insieme, se vuole tenere insieme tutto (famiglia, affetti, casa, benessere personale...), mentre l'azienda, soprattutto dai dirigenti, vuole dedizione assoluta e continua, non tollera che ci sia nient'altro nelle loro vite che abbia la precedenza.
Una donna che accetti questo otterrebbe solo di trasformarsi in una pessima copia del peggiore stereotipo maschile: questo lo aveva capito magistralmente Vecchioni nella canzone "Voglio una donna".
E quindi ci potranno essere donne che non si sono snaturate che riescono a raggiungere l'apice in tanti campi, ma se le aziende rimangono così, non potranno mai farlo in azienda.

martedì 25 marzo 2014

Essere indaffarati? Uno status symbol.


Esiste in azienda una affettazione dell'essere superimpegnati e al contrario un disprezzo per chi riesce a trovare momenti di distacco da dedicare a passioni o affetti che siano esterni agli impegni in azienda. In questo blog più volte ho descritto questo fenomeno a cui assistevo e più volte ho anche descritto come la maggior parte delle volte nascondevo i momenti che ho sempre ritagliato per me.
Oggi ho letto due post su due blog che parlano di un libro in cui questo fenomeno viene analizzato e dove viene spiegato che il mostrarsi indaffarati è ormai uno status sociale a cui non si può rinunciare. Questo accade in tutti i campi della vita, ma naturalmente è in azienda che raggiunge l'apice e il parossismo.
Non posso quindi che essere fiero dell'elogio della lentezza e del prendersi del tempo di cui parlavo in questo post e non posso non rilanciare questi messaggi, sperando di contribuire a un'inversione di questa tendenza del nostro tempo.

martedì 18 marzo 2014

L'azienda contro la vita di relazione




Caro Dipendente Riluttante,
torno a raccontarti malinconici episodi della mia vita aziendale.

Qualche giorno fa ho avuto un colloquio con la responsabile del personale, perché l’azienda ha deciso di dotarmi di un telefono aziendale (con mio sommo rammarico). Mentre mi presentava le condizioni di utilizzo, mi ha detto che mi era consentito effettuare anche telefonate personali, senza bisogno di inserire codici e questo veniva fatto perché l’azienda capiva la mia disponibilità e mi veniva incontro con questo vantaggio.
Bene, ho pensato, una volta tanto un’azienda comprende che nei rapporti personali e sociali in genere non si può solo pretendere, ma occorre anche concedere, soprattutto fiducia.
Subito dopo la responsabile ha aggiunto che del resto “ormai nella nostra vita gli unici contatti che si hanno sono quasi tutti lavorativi, guardi me, io le uniche telefonate a persone al di fuori dell’ambiente di lavoro che effettuo sono quelle ai miei genitori una volta per settimana.”

La cosa triste era che questa affermazione di fatto descriveva una vita solitaria e priva di relazioni. Per di più questa considerazione, che ai miei occhi costituiva l’ammissione del fallimento di una vita, soprattutto detta da una donna di mezza età, che nella mia considerazione è sempre il fulcro della vita di relazione, non era espressa in maniera sofferta nel corso di una triste analisi, ma era detta con soddisfazione e orgoglio. Sentivo finalmente con le mie orecchie quello che per anni avevo sempre intuito: la mentalità aziendale non solo non facilita le relazioni personali di tipo disinteressato (affetti, amicizie, solidarietà), ma addirittura le considera inutili e forse addirittura dannose, tanto da indurre un tono di fierezza in coloro che se ne sono liberati.
Questo ha ancora di più inferto un colpo durissimo al mio morale, già incrinato dai tanti episodi degli ultimi anni.

Un solitario saluto



                                                                                 Il Dipendente Disilluso

sabato 1 marzo 2014

L’ultimo dei giapponesi


 
Caro Dipendente Riluttante,
voglio raccontarti un altro malinconico episodio a cui ho assistito in questo triste crepuscolo che stiamo vivendo nell'azienda in cui lavoro e che mi è sembrato simile a quello a cui si riferisce l'immagine che ti allego.
Ma nell'episodio che voglio raccontare però la scena non è quella di un atollo del pacifico con palme e sole a picco; e con dei turisti americani che gironzolando incontrano un barbuto e stracciato orientale con mitra arrugginito e katana in pugno. La scena è invece quella di in una storica azienda italiana a partecipazione statale, uno degli ultimi baluardi di quella grande industria che fu. Da anni in difficoltà di bilancio, il suo migliore destino sarà quello di essere svenduta a qualche gruppo straniero sbarcato per far spesa in Italia.
 
Siamo allo “Staff Meeting”, riunione liturgica mensile consacrata dalla massima dirigenza in capo (notare l’inglesismo aziendalese stesso che sta a dimostrare la banalità dell’evento e la perdita di tessuto culturale e professionale a cui è soggetta la Società).
Un giovane quadro, rampante, rasato ed incravattato nel suo consueto intervento davanti ai dirigenti responsabili, pensando di fare cosa gradita all’istituzione, dichiara apertamente che “il mio cuore batte per questa Business Unit e per questo lo butto sempre oltre l’ostacolo”.
Da notare che, se avesse pronunciato qualche mese prima questa fatidica frase, sarebbe stato messo su un piedistallo e pubblicamente elogiato davanti agli astanti invidiosi dell’occasione persa di dire la medesima frase.
E’ per questa motivazione che il nostro intempestivo amico l’ha in effetti pronunciata, sbagliando tuttavia completamente le tempistiche: oramai, infatti, l’azienda è stata dichiarata ufficialmente in vendita e neanche i vertici dirigenziali credono più a tutte le liturgie e alle panzane che hanno messo in piedi.
 
Infatti, alle sue parole, le reazioni degli astanti, in primis i dirigenti, sono risatine e sberleffi, quasi che il malcapitato fosse nudo con colla, piume e le orecchie da asino sulla testa (se qualcuno avesse avuto cappellini colorati e trombette, sarebbero state usate anche quelle).
Addirittura, il dirigente in capo, presente anch’esso alla lassativa riunione, perplesso per la mancanza di buon senso del giovane, lo apostrofa pubblicamente e ironicamente: "Bianchi, io spero che il suo cuore batta per cose più degne della Business Unit!"
E pensare che qualche mese prima era proprio questo dirigente ad arringare retoricamente gli astanti nel gettare il proprio organo pompante oltre la trincea nemica.
Ora invece sono rimasti solo pochi soldatini con il moschetto in mano che non hanno capito che la guerra è finita e continuano a presidiare la loro postazione nell'unico modo che sanno fare: usando l'aziendalismo più convinto!
Sic transit gloria mundi.
 
Mesti saluti
 
                    Il Dipendente Disilluso