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lunedì 15 aprile 2013

L'ora d'aria







Accade ogni volta.

Di solito avviene per caso, una frase buttata là, un commento, o il racconto di qualche conoscente ed emerge qualcuna delle attività che spesso pratico in pausa pranzo. Ed immancabilmente il collega o la collega di ufficio con cui sto parlando mi guarda come se fossi un esemplare raro di una specie in via di estinzione, sorride, scuote la testa, dice che dovrebbe provarci, ma sempre si allontana con in testa l'idea evidente di aver parlato con un tipo strano che fa cose bizzarre.

Io invece non mi sento strano, eppure da quando ho cominciato a lavorare, ma forse anche prima, ho sempre cercato di non trascorrere la pausa pranzo in ufficio, o perlomeno di farlo raramente. Di solito chi lavora in questi ambienti va a mensa più velocemente possibile per evitare la fila, mangia abbastanza rapidamente e poi torna in ufficio a giocare al solitario. I più intellettuali leggono il giornale o un libro, ma sempre rimanendo nell'ambiente.
Io invece ho sempre avuto il bisogno perlomeno di uscire, anche perché, avendo sempre ruoli di livello medio alto, rimanendo i vari responsabili non si facevano scrupoli a chiedere questioni lavorative o comunque non capire che si era in pausa e mal considerare attività ludiche.

Comunque la pausa pranzo è sempre stata la mia ora d'aria, anzi un momento di assoluta libertà che mi apparteneva più di altri, perchè libero da impegni di qualsiasi genere (famigliari, lavorativi, etc.). E per questo ho sempre cercato di inserirci attività più svariate: palestra, jogging, ciclismo, fin dall'inizio e poi via via altre che diventavano possibili. Visione di film con lettori portatili, escursioni sui sentieri delle montagne dietro l'azienda, veloci corse per andare ad arrampicare in qualche palestra di roccia delle vicinanze, relax in piscina o al mare l'estate, ma anche quando è stato possibile, pranzi a casa, sonnellini pomeridiani, pulizie della casa....
Per questo ho cercato sempre di avere la pausa lunga, un'ora e mezza a volte allungabile a un'ora e tre quarti, vagheggiando di ottenere prima o poi il sogno delle due ore. Firmerei domani per fare l'orario dei negozi e godermi quattro ore libere in mezzo alla giornata. A volte inserisco un'ora di ferie per i programmi più impegnativi e ambiziosi, ma devo centellinarli.

Mi sono spesso interrogato su questa mia esigenza, non è necessità di evasione, il mio lavoro normalmente mi piace, in certi casi addirittura mi appassiona. E’ qualcosa di diverso, è la voglia di non suddividere in compartimenti la settimana lavorativa in cui si accumula negatività, e il fine settimana in cui seguire le proprie passioni o godere di momenti di relax, ma invece di mischiarli insieme nelle stesse giornate. E’ la voglia di godere delle giornate di sole, anche d’inverno, quando invece uscendo dal lavoro è già buio e farlo anche nei giorni della settimana senza attendere la Domenica.
Lavorare, poi uscire da quel contesto, mischiare una delle tante attività e poi tornare al lavoro ancora più carichi ed entusiasti e magari tirare anche tardi è una cosa che mi ha sempre dato un enorme benessere. In azienda quando emerge mi guardano tutti come un marziano perché lì normalmente per alcuni, soprattutto direttivi o aspiranti tali, vige la dedizione totale al lavoro come unico aspetto della vita, per gli altri invece c’è la rassegnazione di dover dedicare quel tempo al lavoro per poi aspettare un altro tempo per dedicarlo agli altri aspetti della vita che si amano di più. Mischiare le cose è incomprensibile e per questo ne parlo poco, molte volte lo nascondo e invento frottole per coprire le pause pranzo più audaci.

Attenuare le barriere fra la vita lavorativa e gli altri aspetti della vita è invece proprio uno dei punti di cui parla Chouinard nel suo libro sulla Patagonia e sono assolutamente convinto che migliorerebbe la soddisfazione dei lavoratori, li renderebbe più legati a un’azienda (senza bisogno di aumentare stipendi) e sicuramente aumenterebbe la produttività.
E’ un concetto semplicissimo, ci sono testimonianze, si leggono articoli su questi argomenti eppure nelle nostre aziende non riesce a passare.

2 commenti:

  1. Ciao, di nuovo Werted dal forum.

    Anche io apena posso scappo. Non riesco a capire come si fa a spendere la propria ora di pranzo sulla scrivania dove si sta seduti le restanti otto ore. E' come se un carcerato preferisca trascorrere la sua ora d'aria in cella invece che nel giardino del carcere...
    Comunque ritieniti fortunato, da quello che scrivi hai parecchie cose da fare nelle vicinanze del posto di lavoro.
    Io ho lavorato in posti dove c'era solo il capannone nostro e poi zero.
    Adesso lavorando in un centro citta' posso uscire ma vado a prendete un caffe' o un dolcetto da starbucks che mi costa un casino, ma quello e' il mio time off, il mio tempo personale senza nessuno che mi disturbi.

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  2. Ovviamente le attività che ho elencato sono quelle che ho effettuato nel corso di vari periodi della mia esperienza lavorativa, a seconda del luogo in cui mi trovavo, che è cambiato negli anni avendo avuto esperienze in varie aziende. E' vero che avendo sempre lavorato in città di provincia ho sempre avuto più scelte abbastanza a portata di mano.
    In ogni caso, anche in situazioni che mi offrivano di meno, almeno uscivo dall'ambiente lavorativo per andare in una palestra (quella c'è sempre), a fare jogging oppure a pranzo in un parco a leggere un libro. L'importante è sempre stato intervallare la vita lavorativa con altri aspetti e l'attività sportiva era naturalmente quella che meglio si integrava.

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